Nel nostro paese, negli anni 70, si afferma prepotente la cultura dell’effimero e, come affermano i sociologi, una reazione alla “dittatura della produzione”. Oggi, come ieri, dopo la pandemia, ritorna prepotente e pervade tutti i livelli della nostra società insinuandosi in maniera preponderante nei gangli delle amministrazioni locali che celebrano il trionfo dell’effimero e, allo stesso tempo, la sconfitta della cultura della manutenzione del territorio e, quindi, della prevenzione e dei servizi. Chi per ragioni diverse, turisti, avventori o, semplicemente, coloro che rientrano nei paesi d’origine, visita i nostri centri ritrova, alla portata di tutti, musica, eventi, sagre, spettacoli e festival vari che richiamano migliaia di giovani e meno giovani entusiasti di poter fruire a costo zero di momenti di animazione e di socializzazione.
Effimero è ciò che dura poco, nella fattispecie un giorno o qualche giorno ma, di contro, ha il vantaggio di regalare a chi lo promuove notorietà e visibilità con la “complicità” dei mezzi di comunicazione i quali, a loro volta, riescono ad avere la massima utilità con il minimo sforzo, riempiendo pagine di giornali e contenitori vuoti di “notizie giornalistiche”. Ciò che invece è duraturo, durevole e permanente non fa notizia e rende meno visibile e meno noto l’autore dell’azione, tranne quando la natura si risveglia e presenta il conto appunto con alluvioni, incendi, crisi idrica, siccità e così continuando.
Ogni occasione di “disastro” è utile per far suonare a livello locale le trombe dell’opposizione; utili, per amor di Dio, ma non sufficienti a comprendere il fenomeno che pervade la nostra società attuale dominata dal culto del superfluo, dal consumo rapido e dal rifiuto di ciò che è permanente, immutabile, per non parlare di ciò che è spirituale e mistico.
Il grande deserto sociale, emozionale e mentale che abbiamo costruito, non più sostenuto da valori, ideali, certezze, tenta di darsi un senso consumando rapidamente e improntando la propria azione al quotidiano pragmatismo che ripudia tutto ciò che è intellettuale, spirituale e duraturo, arrivando addirittura alla spettacolarizzazione della religiosità che, per definizione, è sentimento profondo e mistico. È inutile alzare l’indice accusatore, quasi di manzoniana memoria, contro questa o quella amministrazione; dobbiamo arrenderci all’evidenza che la nostra società è ammalata e prima di cambiare queste “amministrazioni effimere” dobbiamo curare la nostra società iniziando dalle scuole, dai centri di incontro e socializzazione, dai partiti, da tutto ciò che è veicolo alla partecipazione alla vita democratica del paese.